Come si fa a spiegare cos’è l’anima ad un bambino?
Semplice: non si spiega!
Come tutti i concetti primordiali, che ci accompagnano sin dagli inizi della civiltà, anche l’anima ha un significato istintivo, che difficilmente può essere spiegato con certezza.
Perciò le immagini aiutano più di mille parole, la ricchezza del nostro mondo interiore è fatta da tantissime immagini e da diversissimi colori.
L’età consigliata per questo libro è dai 4 anni, ma per me è un libro da regalare a bambini, adolescenti e, perché no, anche adulti.
A volte ci sentiamo ottimisti, a volte sensibili, a volte arrabbiati, a volte impulsivi o egoisti, a volte ci si sente rotti…
Le immagini regalano un significato immediato a queste “versioni di noi”, le parole spiegano meglio e potrebbe accadere di dire, leggendo una pagina o l’altra: “ecco! Proprio così mi sento!!”
Dare un nome ai nostri Stati d’Animo può essere rassicurante, ci fa sentire meno soli, ci rende umani, perché tutti gli umani possono sentire queste emozioni, ci permette di avere un punto di vista diverso…
A differenza dei labirinti canonici, da questo labirinto non usciremo, ma resteremo su una pagina o l’altra a seconda del momento, d’altronde quando scopriamo la bellezza della nostra anima perché mai dovremmo uscirne??
La mia pagina preferita è il coraggio, è una donna vestita di rosso il simbolo di questo stato d’animo che non vuol dire affatto non aver paura, ma, anzi, vuol dire conoscere la paura e saperla affrontare, con cuore e passione… Qual è il vostro stato d’animo preferito??
Il nostro percorso attraverso le emozioni è terminato, e
perciò è arrivato il momento di parlare di un libro che dà un colore e una
forma alle emozioni.
Probabilmente lo avrete già a casa, o lo avrete già visto in
libreria o nella scuola di vostro figlio, ha avuto molto successo, per fortuna,
e si è dimostrato molto utile per i bimbi.
Nonostante ciò, mi sembra una giusta conclusione per il
nostro percorso e mi piacerebbe parlarvi del modo più adeguato per usarlo come
strumento nella relazione con il vostro bambino.
Chiedete ad un qualsiasi quattrenne di usare un colore per
disegnare la sua rabbia, probabilmente userà il rosso… così spesso usano il blu
quando sono tristi o il nero per la paura.
Questa è la forza di questo libro: la semplicità. Potrebbe
essere quasi banale affiancare un colore e una scena con un mostro protagonista
per descrivere le diverse emozioni, ma non è così.
Abbiamo visto quanto è importante imparare a distinguere le
emozioni per parlarne meglio e saperle gestire: questo è proprio l’incipit del
libro, un mostro che, aiutato da una bambina, vuole districare il groviglio
delle sue emozioni.
Ci preoccupiamo molto di insegnare i diversi colori, le
diverse tecniche di pittura, numeri e lettere, ma spesso dimentichiamo di
insegnare ai bambini l’alfabeto delle emozioni, per sviluppare la loro
intelligenza emotiva, la loro capacità empatica e quindi il loro mondo
relazionale.
Questo libro può essere letto con i bambini di tutte le età,
c’è anche la versione pop-up per attrarre i più piccolini… Poi, a seconda delle
età, decideremo come usarlo:
Con i piccolini sotto i 3 anni possiamo usare il colore
puro: un foglio rosso può essere arrabbiatissimo se gli diamo voce, ci
giochiamo lo strappiamo insieme… perciò via libera alla vostra creatività e
alla vostra capacità interpretativa… quello a cui dovremmo arrivare a quest’età
è poter chiedere al bambino “oggi di che colore ti senti?” e poi aiutarlo ad esprimere
le sue emozioni a piccoli passi, passando dal colore visivo ed esperienziale
alla parola.
Con i bimbi della scuola materna può essere fatto un vero e
proprio percorso emozionale, in cui poter parlare dei ricordi legati alle
diverse emozioni: episodi legati alla tristezza, alla paura, alla gioia…
Provare a mimare una faccia arrabbiata o triste, riconoscere l’emozione di un
compagno giocando ad indovinare…
Il disegno adesso può diventare più definito, si può
disegnare un luogo o un oggetto che fa paura per poi scoprire che può diventare
simpatico o di un colore diverso, oppure la verdura che ci disgusta di più può
essere coltivata in un orto scolastico e poi portata a casa con fierezza
(scommettiamo che non sarà più così disgustosa???). Adesso le emozioni possono
iniziare ad essere incanalate in comportamenti diversi e più gestibili, quindi
si può usare un cuscino da stropicciare quando ci si sente rossi di rabbia…
Anche qui via libera alla fantasia di grandi e piccini, e
fatevi guidare ovunque loro vi porteranno… il libro sarà uno stimolo, un inizio
che vi porterà lontano!
I più grandi, nonostante frequentino la primaria, potrebbero
essere arrivati a 8, 9, 10 anni senza avere ricevuto un’adeguata
alfabetizzazione emotiva. Non è mai troppo tardi!
Potrebbero leggere il libro e poi articolare storie o
immagini per ogni emozione, ricordando episodi passati e paure immaginate. Sono
le basi per una vita adolescenziale più consapevole e meno turbolenta.
Insomma avrete capito che è un libro da avere in casa e da
riprendere in mano ogni tanto, nel corso di tutta la loro crescita.
E, se avete ancora qualche dubbio, leggete gli articoli
delle diverse emozioni sul blog!
Ultima nella nostra carrellata di emozioni, ma non meno
importante, troviamo la Gioia!
Vi chiederete che ci può mai essere da sapere o da
consigliare quando il mio bambino è felice? Va tutto benissimo quando prova
gioia!
Beh non è proprio così…
FACCIAMO UN PO’ DI CHIAREZZA…
La gioia è l’emozione che sentiamo quando c’è qualcosa che è
coerente con i nostri bisogni: quando un neonato affamato viene allattato prova
gioia, quando un bimbo vede la mamma dopo una giornata a scuola prova gioia,
quando otteniamo il lavoro dei nostri sogni proviamo gioia… pensate a tutte le
volte in cui avete provato gioia e probabilmente vi verranno molti esempi
simili a questi.
Ma c’è un altro tipo di stimoli che generano gioia:
conseguire un obiettivo. Arrivare sulla cima di una montagna dopo essersi
esercitato molto farà provare gioia ad un alpinista, il conseguimento della laurea
dopo molti esami sarà fonte di gioia per il laureando, il primo bacio della
ragazza corteggiata genererà gioia…
La gioia è l’unica emozione positiva, è quella che ci
permette di riposarci dopo le emozioni negative, è quella che ci predispone ad
aprire i nostri orizzonti per esplorare il mondo intorno a noi. Le altre
emozioni sono direzionate ad un unico singolo stimolo oggetto di rabbia,
tristezza o disgusto o sorpresa, la gioia invece allarga la veduta a tutto
l’insieme, ci aiuta ad accogliere le novità e gli altri con atteggiamento
aperto e curioso.
Inoltre l’emozione è per sua natura comunicativa, siamo
irrimediabilmente attratti da un’espressione come quella della meravigliosa
bimba in foto.
Se l’espressione della rabbia e del disgusto allontanano, se
la tristezza porta gli altri ad essere empatici e la sorpresa è quasi solo
nostra, la gioia no: la gioia porta ad avvicinare gli altri.
È l’emozione che porta a migliori relazioni sociali, ad
essere maggiormente supportati dall’ambiente che ci circonda, a creare nuovi
rapporti.
C’è un’unica clausola: non si può fingere di gioire… Anche
in questi tempi duri in cui abbiamo sempre un paio di mascherine e qualche
metro di distanza tra noi e il prossimo, due occhi che sorridono di pura gioia
sono inconfondibili.
Ma… c’è un ma…
Bisogna essere educati alla gioia! Ed è qui che entrate in
gioco voi genitori…
Ancora una volta la regola più importante è saper provare
gioia in prima persona. Per i bambini è importante osservare un genitore in
grado di gioire per un traguardo raggiunto o per una sfida superata, e di
godere di un giusto riposo dopo e in grado di condividere la gioia con chi gli
sta accanto.
Poi ci sono piccole altre attenzioni che possiamo avere…
Non sovraccarichiamo i bambini di impegni e stimoli: non gli
permetteremo di apprezzare l’impegno che mette nello sport se fa 3 sport
diversi, avere mille bambole non gli permetterà di provare la gioia di giocare
con la sua unica bambola preferita. Insomma la gioia si prova nelle pause, e
come una bella sinfonia è tale anche grazie alle pause, così quello che
facciamo non sarebbe gratificante, bello e gioioso senza il giusto tempo per
goderne.
Non focalizziamoci sul risultato, un gol, un bel voto non
sono la causa della gioia, o meglio non da soli, ma sono fonte di gioia
l’apprezzamento dell’impegno che ci hanno messo.
Quando li vedete felici, non interrompete l’emozione per evitare che si sporchino o che sudino… provate a mettere sui piatti della bilancia un paio di pantaloni strappati con un ginocchio sbucciato e l’espressione di gioia nei loro occhi mentre correva nel parco: sicuri di scegliere il primo piatto???
Inoltre, stiamogli accanto anche durante i fallimenti: li
aiuterà a saper godere dei successi, ad apprezzare di essere accolto senza se e
senza ma e di essere amato senza condizioni da mamma e papà.
Alla fine… festeggiate, sappiate apprezzare i momenti di
gioia insieme e ad esprimerli.
Un’ultima precisazione:
Se notate che non riesce a gioire dei suoi successi, se
appena raggiunge un obiettivo è subito alla ricerca di una nuova sfida, se non
accetta le gratificazioni e i complimenti, potrebbe essere in ansia, potrebbe
nascondere altre emozioni. Se notate che c’è qualcosa che non va, approfondite,
anche con l’aiuto di un professionista.
Quale genitore non è stato bersaglio di una minestra sputata
durante lo svezzamento?
Bene, era in azione l’emozione del disgusto…
FACCIAMO UN PO’ DI CHIAREZZA…
Innanzitutto, perché consideriamo il disgusto un’emozione?
Perché è strettamente legata alla sopravvivenza della
specie, perché è immediata, dura un secondo ed è direttamente collegata ad aree
cerebrali che decidono le reazioni di attacco fuga, come l’amigdala. Inoltre è
universalmente riconosciuta ed espressa, cioè se un bambino italiano esprime
disgusto, un bambino delle Antille riconosce la medesima emozione, pur parlando
lingue diverse e vivendo in luoghi opposti…
Uno studio inglese ha identificato le sei categorie comuni
che lo provocano: scarsa igiene, animali o insetti portatori di malattie,
lesioni o bolle con pus sulla pelle, cibo che sta andando a male o che ha un
aspetto atipico. Sono tutte situazioni potenzialmente pericolose per la nostra
sopravvivenza, quindi il disgusto è il modo in cui il nostro corpo ci mette in
guardia e ci protegge dai rischi.
I bambini iniziano a mostrare l’espressione tipica del
disgusto molto precocemente, è un importante passaggio nella loro vita: sono i
primi segnali di una propria visione del mondo, sono le prime occasioni in cui
discrimina gli stimoli che la madre gli presenta secondo un suo personale
filtro.
Oltre agli stimoli elencati dagli scienziati inglesi, ci
disgusta anche ciò che si discosta da quello a cui siamo abituati: assaggiare
per la prima volta un passato di verdure dopo aver sentito solo il sapore del
latte, sentire sotto il palato il cucchiaino, più rigido della tettarella e del
seno materno, sentire una diversa temperatura… sono tutti elementi che fanno
aumentare l’allerta, ci fanno serrare le mandibole, e arricciare il naso, per
allargare le narici e aumentare il senso dell’olfatto per avere più
informazioni possibili…
Il disgusto chiude lo stomaco e spesso genera un senso di
nausea, in questo modo qualora avessimo ingerito qualcosa di pericoloso,
avremmo la possibilità di espellerlo immediatamente!
Insomma la natura ha pensato proprio a tutto!
C’è persino un fondamento scientifico nell’odio dei bambini
(e non solo) verso il colore verde: ai primordi della civiltà le parti verdi di
molte piante erano velenose e a volte mortali….
Quindi che si fa?
Prima regola generale: Scopriamo ciò che disgusta noi! Si
avete capito bene… è molto probabile che il nostro astio verso le zucchine
passi inalterato a nostro figlio, perché? Semplice, per tutto ciò che ho
scritto prima: all’inizio della nostra vita il primo sguardo che cerchiamo per
capire se possiamo fidarci o no è quello dei genitori, perciò se ha percepito
il nostro disgusto per le zucchine o gli insetti o chissà che altro,
probabilmente non vorrà nemmeno assaggiarlo/guardarlo, perché potenzialmente
pericolosissimo.
Poi abbiamo due scelte: provare ad assaggiare le zucchine e
scoprire che non sono poi così male, prima di proporle al nostro bambino,
oppure dichiarare apertamente che non ci piacciono, ma che preferireste che lui
le assaggiasse prima di decidere se mangiarle o no… probabilmente non
funzionerà, ma avrà tempo di rivalutare la cosa in futuro…
Seconda regola: ciò che non conosciamo, a volte, non ci
piace. Perciò proviamo a cucinare insieme gli spinaci, o addirittura a
coltivarli in balcone, cerchiamo in libreria un libro sui ragni e leggiamolo
insieme, abituiamoli fina da piccolissimi alla più ampia varietà di sapori, dal
pesce alla frutta: il gusto è un senso che si affina col tempo e con
l’esperienza…
Un’ultima precisazione:
Alcuni bambini sentono il disgusto molto più forte di altri,
hanno davvero mal di pancia e sentono di stare per vomitare: scoprite perché è
così poco propenso ad assaggiare, se lo stomaco chiuso non ha a che fare con
altre emozioni, come la tristezza, o se la nausea non è un segnale della sua
rabbia.
Sta sentendo davvero quell’emozione, ma come tutte le altre
emozioni, anche il disgusto non deve essere predominante sulle altre emozioni e
impedirgli di vivere appieno la sua vita. Se notate che c’è qualcosa che non
va, approfondite, anche con l’aiuto di un professionista.
Non so se qualcuno di voi ricorda le “magiche sorprese” che si trovavano dal giornalaio negli anni ’80 e ’90, non so se ci sono ancora, in realtà… Erano giochini di scarso valore economico, spesso nemmeno bellissimi o indimenticabili, ma avevano una caratteristica: per quell’attimo in cui si scartava il pacchetto la nostra attenzione era tutta lì e la concentrazione era al massimo. Probabilmente se avessimo avuto il contenuto di quelle sorprese davanti ai nostri occhi, senza che l’incarto ne nascondesse l’aspetto, non l’avremmo degnato di uno sguardo!
Pensate anche… quali sono i film che ricordate meglio? O almeno quelli di cui ricordate il finale? Forse quelli con “finale a sorpresa”! La nostra memoria, infatti, è molto più propensa ad immagazzinare informazioni se sono informazioni inaspettate.
Una nota marca di uova di cioccolato ha incrementato molto i suoi guadagni inserendo una piccola sorpresa all’interno dei suoi famosi ovetti!
Forse non ci avete mai pensato, ma la sorpresa è
un’emozione, ed anche una di quelle fondamentali.
È innata, è universale e universalmente riconosciuta… Già a 21 giorni di vita i bambini mostrano di provare sorpresa!
Potremmo addirittura dire che è l’incipit di tutte le
emozioni, ma perché?
E soprattutto perché è così importante educare i bambini
alla sorpresa?
FACCIAMO UN PO’ DI CHIAREZZA…
Provate ad osservare un po’ l’espressione del bimbo in foto,
cosa notate?
Gli occhi sono spalancati, la bocca è aperta per inspirare
tutta l’aria possibile, le sopracciglia si inarcano e si alzano, a cosa vi fa
pensare tutto questo?
La sorpresa è l’emozione che dura meno, spesso solo un
secondo, ma in quel secondo il nostro corpo si prepara all’azione e
all’emozione successiva, piacevole o spiacevole che sia.
Un nuovo stimolo, qualcosa di inaspettato, provoca nella muscolatura umana e sul viso una tensione improvvisa: cerchiamo di osservare meglio e per questo allarghiamo lo sguardo, prendiamo aria per prepararci ad ogni tipo di azione. Ai primordi della vita umana una sorpresa poteva rivelare la presenza di una minaccia, e quindi la paura e la necessità di fuga, o di una preda, e quindi la gioia e la necessità di attaccare.
Insomma, anche la sorpresa è altamente adattiva e
funzionale, come tutte le altre emozioni fondamentali.
La sorpresa ha il privilegio di oscurare tutti gli altri
stimoli: un oggetto comparso all’improvviso catturerà la nostra attenzione
tanto da non badare più alla strada che stiamo percorrendo…
Un episodio con effetto sorpresa si lega indelebilmente alla
nostra memoria, diventando quel ricordo preponderante anche in presenza di
altri momenti più importanti ma prevedibili…
La sorpresa ci introduce in altre emozioni positive o
negative, che daranno vita ad altri ricordi…
Cosa ci dice tutto ciò?
Che la sorpresa è la
nostra bacchetta magica in presenza di un bambino, è il nostro potere segreto, l’asso nella nostra manica!
Mi spiego meglio:
Il bambino sta mettendo in scena un capriccio da oscar, vuole un giocattolo al supermercato e non sembra importargli molto che noi siamo stanchi, abbiamo lavorato tutto il giorno e abbiamo fretta di tronare a casa e cucinare… che fare? Sorprendiamolo… si aspetterebbe che ci arrabbiamo, che lo sgridiamo, e invece tiriamo fuori dal cappello una magia, “un basilico magico, che abbiamo appena comprato, che, se torniamo in fretta a casa, ci servirà per fare una pozione per fare sogni meravigliosi!” Probabilmente il basilico assumerà all’improvviso una luce stupenda e potrebbe far passare in secondo piano quel nuovo omino di lego tanto agognato e per cui sta piangendo da 20 minuti…
Una lezione di matematica alla primaria sarà molto più attraente se riuscissimo ad inserire un elemento sorprendente, una musica introduttiva, un’attività a sorpresa appena finita la lezione…
Un bimbo di scuola materna potrebbe aumentare i tempi di attenzione nell’ascolto di una storia, se sapessimo introdurre uno stimolo nuovo e inaspettato, una voce strana e diversa dalla nostra, una marionetta comparsa all’improvviso, un suono…. Lo sapeva bene Rodari quando diceva: C’era una volta cappuccetto… verde… blu… giallo…
Spesso ci sono periodi in cui siamo presi dal lavoro più del
solito: trovate il tempo di fare una sorpresa ai vostri bambini: un’uscita pre
tempo da scuola ogni tanto non ha mai fatto male a nessuno, una gita non
programmata in un luogo magico, un pranzo a base di patatine fritte… (sono e
devono restare sorprese, perciò saranno sporadiche, quindi non inorridite
leggendo!!!)
Un’ultima precisazione:
La sorpresa non sempre porta ad un’emozione positiva,
potrebbe seguirne una delusione e quindi tristezza o rabbia!
Anche questo è molto importante per la sua crescita: il
bambino potrebbe sentirsi eccessivamente vulnerabile se l’elemento sorpresa
delude le sue aspettative, in questo caso sosteniamolo e stiamogli accanto.
Spieghiamogli che le cose nuove possono piacerci o meno, ma che vanno esperite
per scoprire cosa ci piace e cosa no, e fare piccoli passi in più nella
costruzione della nostra personalità.
È da poco passato Halloween… che lo festeggiate o no, è un
po’ un emblema di quanto l’uomo ha sentito da sempre il bisogno di esorcizzare,
nascondere e camuffare l’ignoto e l’oscuro, ciò che non vediamo e non
conosciamo.
Cosa fare quando il bambino ha paura? Perché ha paura? Di
cosa ha paura?
PER PRIMA COSA UN PO’ DI CHIAREZZA…
La paura è adattiva,
è utile… insomma ci serve!!
La paura è una delle emozioni più primitive, più istintive.
Hanno paura gli animali, i bambini, gli adulti: tutti noi abbiamo paura.
La paura ci aiuta a riconoscere
ed evitare una minaccia, e poi ci aiuta a segnalare agli altri che è presente un pericolo. Perciò è
un’emozione immediata, funzionale, essenziale per tutti gli esseri animali e
quindi umani.
Ma di cosa hanno paura i bambini?
Proviamo a pensare un attimo alle nostre paure…
Qualcuno avrà paura del buio, qualcun altro avrà paura
dell’altezza, qualcuno degli sconosciuti, qualcuno dei ragni, qualcun altro dei
cani… può essere un elenco lunghissimo e variopinto.
Ognuna di queste paure, a suo modo, è potenzialmente
pericolosa, ma perché non tutti hanno paura degli stessi stimoli?
Innanzitutto chiariamo che se un bambino richiama la nostra
attenzione con insistenza appena resta al buio, mentre un altro ci chiede di
spegnere la luce perché è divertente giocare a nascondino, non vuol dire che
uno ha paura del buio e l’altro no: è solo un diverso modo di rispondere alla paura!
Di fronte a qualcosa che ci spaventa possiamo fuggire a
gambe levate ed evitare la situazione spaventosa; possiamo trovare eccitante il
lieve brivido che ci scorre lungo la schiena e l’idea di essere talmente
potenti da poter sconfiggere la paura; possiamo scegliere di affrontarla,
magari con un valido aiutante, come nelle migliori favole…
Un altro aspetto da chiarire riguarda il fatto che alcuni
stimoli che impauriscono non sono indiscutibilmente pericolosi per tutti. Mi
spiego meglio: a fronte dei milioni di amanti dei cani, ci sono milioni di
persone che li trovano spaventosi e non ne accarezzerebbero mai uno… Perché?
Perché molto spesso è
la nostra cultura, educazione, storia e definire cosa per noi è spaventoso…
Molto probabilmente un bimbo messicano non sarà così spaventato
da teschi e rievocazioni di spiriti, come ci insegna il film Coco… Il figlio di una famiglia di
circensi potrebbe non provare terrore di fronte ad una tigre…
Questo che vuol dire? Che dovremmo esporre il nostro bambino
a ogni tipo di stimolo, anche il più spaventoso, in modo che da adulto non
abbia paura di nulla? Che bisognerebbe non aver paura di nulla davanti agli
occhi di nostro figlio per comunicargli che la paura non esiste?
No!
La paura è importante, inevitabile come tutte le altre
emozioni primarie, e va ascoltata e accolta.
L’antidoto per la
paura è solo la rassicurazione!
Perciò? Che fare?
4 COSE DA EVITARE:
1.Mai prenderlo in giro! Se avete letto altri miei post sulle emozioni avrete ormai capito che questa è una cosa da non fare mai, per nessun tipo di evento nella vita del bambino… In questo caso prenderlo in giro porterà con sé la convinzione che non si possono esprimere liberamente le proprie emozioni e si sentirà inadeguato e in colpa
2. Evitare anche di iperproteggerlo, o di rassicurarlo in maniera eccessiva e teatrale, gli trasmetterà che c’è effettivamente uno stimolo molto spaventoso e una paura molto difficile da superare.
3. Evitiamo di esporre il bambino ad ogni tipo di discorso o immagine che trasmetta paura. Specialmente in questo periodo in cui tutto in tv parla di paura e di spaventosi virus, è importante non esporre il bambino a tv e discorsi: il rischio è che sentirà le paure altrui più forti delle proprie paure.
4. Non puntare sulla sua forza d’animo. Le paure vanno affrontate con pazienza e con il giusto tempo. Presentare al bambino lo stimolo pauroso troppo presto e in modo troppo diretto può trasformare la paura in terrore e ansia: supererà i suoi limiti quando vorrà e si sentirà pronto.
6 COSE CHE POSSIAMO FARE:
Parola d’ordine: Rassicurazione! Facciamo capire al bambino che noi ci siamo, che qualsiasi cosa possa accadere noi gli saremo accanto, lo sosterremo e lo aiuteremo a superarla. In questo modo qualsiasi sia l’oggetto della paura non sarà così terribile!
Permettiamo al bambino di esprimere le proprie paure, qualsiasi esse siano, semplicemente ascoltiamolo, stiamogli accanto.
È importante che il bambino impari che la paura può essere superata, non che la paura non esiste! Trasmettiamogli che anche noi possiamo provare paura, ma che riusciamo a superarla e a parlarne prima che diventi terrore e ansia e fobia!
Offriamogli la nostra presenza, la nostra vicinanza: non c’è mostro che non possa essere sconfitto grazie ad un aiutante efficace!
Troviamo nei suoi libri o storie preferite degli eroi, a cui fare riferimento quando la nostra presenza fisica non è possibile, che lo accompagnino quando è solo, o in compagnia degli amici e che pian piano possano diventar parte di lui del suo mondo interiore.
Se la paura è stimolata da un oggetto o un animale o una situazione fisica particolare possiamo avvicinarla pian piano insieme a lui, lentamente e in tappe successive.
DISTINGUIAMO LE PAURE
Le paure cambiano e
si modificano nelle diverse età: se verso l’anno compare la paura
dell’estraneo, e prima ancora la paura dell’allontanamento fisico della mamma,
a 5 o sei anni può comparire la paura della scuola o del temporale… all’inizio
ci sono paure più innate e primordiali, man mano che si cresce le paure
diventano più cognitive e meno immediate.
Sono paure comprensibili e naturali: a sei mesi davvero un
bambino senza la sua mamma non sopravvivrebbe, è il modo in cui la natura ci
aiuta a prenderci cura del bambino quando ancora non sa esprimersi al meglio.
Quando inizia la scuola la paura è quella di un ambiente
nuovo, o di una prova difficile da superare.
Le altre paure possono derivare da un trauma,
un’associazione tra una determinata situazione e qualcosa di spaventoso.
Molto spesso la paura è legata a qualcosa che non si conosce
o è di difficile lettura: è il caso della paura degli animali, il cui
comportamento è di difficile interpretazione. Anche la paura del buio può appartenere
a questa categoria, non si sa cosa ci sia nel buio, e perciò incute timore, ma
può essere anche legata alla paura dell’abbandono e della solitudine.
Perciò è importante
comprendere cosa c’è dietro la paura, per essere più efficaci e per aiutare
al meglio il bambino. È importante sintonizzarci sulla giusta età del bambino,
non trattarlo troppo “da grande” e nemmeno troppo “da piccolo”. Ogni età ha le
sue parole, i suoi eroi e le sue modalità di affrontare le situazioni:
facciamoci guidare dal bambino, facciamogli domande e ascoltiamo le risposte
con empatia ed attenzione… ci indicherà la strada giusta!
UN’IMPORTANTE DISTINZIONE!
La paura è connotata
da uno stimolo reale e possibile.
Quando la paura è marcata
e persistente, eccessiva o non reale,
provocata dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o situazioni specifiche
(per esempio: fobia di volare, di vedere il sangue, di ricevere un’iniezione,
dell’altezza, di determinati animali) probabilmente è diventata una fobia.
Un’ulteriore prova è data dal fatto che l’esposizione
all’elemento fobico provoca una risposta
ansiosa immediata che può sfociare anche in attacchi di panico.
I bambini manifestano le loro ansie con scoppi di rabbia
improvvisi, oppure irrigidendosi e piangendo e attaccandosi morbosamente alla
presenza di qualcuno. Spesso la situazione fobica viene evitata, limitando
anche la vita quotidiana…
Se notate questo tipo di paure, o anche se avete dei dubbi
in merito cercate un professionista con cui parlarne: è meglio agire
tempestivamente, evitando che la fobia diventi cronica e invalidante.
Molto probabilmente adesso, un secondo dopo aver visto la
foto del post, avrete gli angoli della bocca all’ingiù e una tipica espressione
triste.
È quasi un riflesso incondizionato, è il modo con cui la
natura ci guida già sulla strada giusta: il rispecchiamento di fronte ad un bambino triste è la cosa più sana e
utile che possiamo fare.
Poi? Che si fa? Perché è triste?
PER PRIMA COSA UN PO’ DI CHIAREZZA…
I bambini provano
tristezza!
Può essere difficile accettarlo e comprenderlo: siamo
abituati a pensare all’infanzia come quel periodo spensierato e felice in cui è
difficile collocare la tristezza. Ma è una falsa credenza, i bambini provano la
tristezza, la manifestano e attraverso essa crescono, evolvono e cambiano.
La tristezza è il sentimento legato alla perdita, perdita di qualcosa o qualcuno
di caro, amato, importante per noi.
Ciò che induce la tristezza può essere molto diverso tra
bambini e adulti, da adulti non siamo più tristi per la perdita di un
orsacchiotto di peluche, e i bambini probabilmente non sentono la tristezza per
un’occasione mancata, ma il sentimento provato è esattamente lo stesso: un
senso di vuoto, di mancanza, di sfiducia, a volte anche di solitudine e
impotenza.
La tristezza ha una funzione
fondamentale nella nostra vita: permette di riflettere su di noi, sui
nostri sentimenti e attraverso l’accettazione e l’accoglienza ci aiuta a
rielaborare, comprendere e infine a cambiare e a crescere. E infine ci
permetterà di sentire la gioia…
Esattamente come negli adulti, la tristezza non sempre si
manifesta con una particolare espressione del viso e con il pianto…
A volte potreste notare che il bambino dorme più del solito
o al contrario non riesce ad addormentarsi; oppure che mangia meno o più del
solito; potrebbero diventare iperattivi, a volte, anche aggressivi, oppure
diventare apatici, isolati dagli altri; potrebbero essere più o meno loquaci
del solito.
Mai prenderlo in giro! Frasi come “sei una lagna!” “sei un piagnucolone” o peggio “i maschietti non piangono” o “fai la bimba grande, non piangere!” potrebbero essere dette senza pensarci troppo, d’istinto, perché in quel momento l’unica cosa che vorremmo è che il bimbo smetta di essere triste. In realtà sono frasi che inibiscono la sua espressione emotiva: la tristezza non farà altro che trovare altri modi per emergere, più profondi, più pericolosi e più difficili da gestire.
.Non insistere troppo nel chiedergli la causa della sua tristezza: ci racconterà tutto se e quando si sentirà di farlo, quando sentirà il nostro sostegno, la nostra empatia per i suoi sentimenti e la nostra accoglienza. E, se non dovesse farlo, non importa, saremo molto più efficaci standogli accanto senza troppe parole!
Sminuire i suoi sentimenti con frasi del tipo “è una stupidaggine”, “sono cose che capitano” “non si piange per una cosa del genere”. Per il bambino è importante! Queste parole non lo aiutano a comprendere, a riflettere o a crescere, anzi sminuiscono la sua autostima.
Mai sgridarlo! Nasconderà solo la sua tristezza con la rabbia, rendendo inutile l’importantissima funzione di questo sacro sentimento.
Non insistere solo sulla sua forza d’animo. “Sei forte, basta essere triste!” Farà crescere solo dei giganti dai piedi d’argilla, dei futuri adulti sostenuti solo da una finta corazza di argilla non sostenuta da una forza interiore reale acquisita pian piano con l’aiuto amorevole dei propri genitori.
5 COSE CHE POSSIAMO FARE:
Osservare, notare piccoli cambiamenti, stargli accanto con delicatezza e tatto. Parola d’ordine: empatia!
Spiegare al bambino che tutti possono provare tristezza, i nonni, gli zii, i genitori, gli amici e persino le maestre. E che ci potremo sentire meglio se abbiamo qualcuno accanto, se abbiamo la possibilità di parlarne e se accettiamo di poter essere tristi. Permettiamogli di essere tristi!
Abbracciamolo. Offriamogli di piangere sulla nostra spalla, stiamogli semplicemente accanto anche senza parlare, per il tempo di cui il bambino ha bisogno.
Possiamo avvalerci dell’aiuto di libri, storie, immagini, per imparare insieme a lui a distinguere le emozioni, a capirle e ad esprimerle al meglio.
Specie con i bambini più piccoli (ma vale con tutti i bambini), leggere i loro comportamenti, non direttamente associabili alla tristezza, chiedendo loro cosa sentono. Potrebbe accadere che dovremo guidarli nelle risposte, ma mai rispondere al loro posto. Ad esempio “Cosa senti nella pancia?” “senti più una cosa bella o brutta?” “ti sei sentito così altre volte?” Aspettate le loro risposte, permettetegli di riflettere, di esprimersi come meglio credono… Ascoltateli.
LA TRISTEZZA NON SI PUO’ PREVENIRE…
Se nel caso della rabbia possiamo prevenire la sua espressione più feroce, (http://www.alessandra-simone.it/2020/10/12/le-emozioni-nei-bambini-la-rabbia/ ) per quanto riguarda la tristezza non solo non c’è nulla che possiamo fare per prevenire e proteggere il nostro bambino dal provare questo sentimento, per evitargli un dolore o per fare in modo che sia sempre felice.
Non solo non c’è un modo, ma se ci fosse sarebbe solo
dannoso per lui: la tristezza è utile, è necessaria, è importante per la sua
crescita e, soprattutto, è inevitabile!
Impariamo solo a tenergli la mano quando è triste!
ULTIMO PROMEMORIA!
Se vi accorgete che la tristezza dura per molti giorni,
senza soluzione di continuità, anche molto tempo dopo l’evento che ha causato
l’inizio del cambiamento d’umore;
se notiamo che il troppo o il poco sonno o l’eccessiva fame
o l’inappetenza prolungata incide sulla sua vita relazionale o scolastica;
quando la tristezza non è più consolabile o come genitori
sentiamo di aver bisogno di aiuto per gestire questa emozione…
Cercate un professionista con cui parlarne: è meglio agire
tempestivamente, evitando che il bambino “normalizzi” un comportamento senza
più collegarlo ad un reale evento di perdita o sconforto.
Ho deciso di iniziare il nostro percorso (http://www.alessandra-simone.it/2020/10/05/le-emozioni-nei-bambini/) per comprendere, accogliere e valorizzare le emozioni dei bambini parlando della RABBIA.
È sicuramente il sentimento che spiazza di più i genitori, è
quel sentimento che più genera frustrazione, nervosismo e evitamento nella
famiglia, perciò è il più difficile da comprendere…
PER PRIMA COSA UN PO’ DI CHIAREZZA…
La rabbia può manifestarsi in vari modi: può essere che
inizi a dire parolacce in famiglia o in pubblico, o che attui altri
comportamenti proibiti, meno eclatanti della vera crisi di rabbia, ma
continuative e irritanti; può portare rancore per molto tempo e in modo
silenzioso o può trovare un capro espiatorio, un fratellino o un compagno di
scuola, a cui fare ripetuti dispetti.
In questi casi si parla di collera inibita o non manifesta,
è importante parlarne, far capire al bambino che sappiamo leggere i suoi
sentimenti e che possiamo accoglierli e aiutarlo a superarli insieme. Possiamo
usare varie strategie, a seconda dell’età, come ignorare il comportamento
provocatorio, sdrammatizzare il peso che il comportamento ha su di noi, fargli
comprendere che ci sono altri modi per esprimere la rabbia senza ferire gli
altri.
Cosa ben diversa è l’episodio di rabbia acuta, che comporta un vero
e proprio cambiamenti fisico nel bambino: aumento della pressione
sanguigna, della frequenza cardiaca, diminuiscono gli ormoni del piacere e il
bambino è più irrequieto e nei movimenti o sembra paralizzato imprigionato
dalla tensione dei muscoli del suo corpo.
In questo stato il bambino è tanto arrabbiato quanto spaventato: sente una grande potenza
dentro di se, ma una potenza che può rivelarsi distruttiva e che non sa come
gestire.
Il bambino non può
ascoltare in questo momento! Si può pensare che non voglia ascoltare quello
che gli adulti gli dicono, potrebbe sembrare che sia maleducato, viziato, e che
abbia bisogno di regole ferree… No! In quel momento proprio non può: tutto il
suo corpo è impegnato a gestire lo stato di rabbia, non può recepire nuovi
stimoli adesso.
6 COSE DA NON FARE:
Non urlare per placare le sue urla! Si creerebbe solo un vortice di rabbia da cui sarà difficile uscire per tutti…
Cercare di farlo ragionare…
Ritrattare la regola che ha generato la crisi di
rabbia. La prossima crisi di rabbia sarà peggiore…
Non promettiamo punizioni che non daremo.
Penseremo dopo se e che tipo di punizione possiamo attuare, dipenderà dall’età,
dall’evento scatenante e dalla reazione che ha avuto.
Mai prenderlo in giro! Aumenta la sua rabbia,
abbassa la sua autostima e genera sentimenti di vergogna.
Punirlo fisicamente (e non parlo di percosse,
che penso siano da NON AGIRE MAI), per esempio farlo sedere nel momento del
picco rabbioso o, peggio, mandarlo a letto. In quel momento è essenziale per
lui scaricare l’energia fisica con il movimento, l’importante è proteggerlo da
agiti violenti e pericolosi per lui e per gli altri.
5 COSE CHE POSSIAMO FARE:
Trovare la nostra calma… può sembrare scontato, può sembrare inutile, ma è fondamentale: contiamo fino a 10, se necessario, un bel respiro profondo e poi ci avviciniamo al bambino con calma e fermezza.
Parliamogli con un tono di voce basso e pacato,
non è importante quello che gli diciamo, non spieghiamogli nulla adesso,
possiamo mostrargli che abbiamo compreso quanto sia arrabbiato, che la rabbia è
un’emozione permessa, e che gli vogliamo bene anche in quel momento e gli siamo
vicini.
Abbracciamolo, prendiamogli le mani, guardiamolo
negli occhi. Deve sentire di non essere pericoloso, di essere sostenuto anche
in quel momento, di essere contenuto (NON COSTRETTO).
Permettiamogli di muoversi: una corsa nel
corridoio, strapazzare un cuscino, urlare in un barattolo… sono tutti agiti non
pericolosi, che gli faranno scaricare la tensione fisica, aumenteranno gli
ormoni positivi e gli faranno prendere coscienza della potenza della sua
energia, in modo che impari a calibrarla sempre meglio.
SOLO DOPO aver superato il picco dell’emozione, quando ci appare più in ascolto e meno teso, possiamo parlargli. Possiamo spiegargli che sappiamo che quanto è successo (il no che gli abbiamo detto, la rottura di un suo giocattolo preferito, la necessità di mettere un giubbotto piuttosto che un altro, ed ogni altro tipo di innesco possibile) può averlo fatto molto arrabbiare, ma che ci sono delle regole e delle necessità che i genitori devono insegnare. Può arrabbiarsi, e noi gli vorremo bene anche quando è super arrabbiato, ma le regole non cambiano. Si può anche riconoscere che c’è stata un’eventuale ingiustizia, ma che voi gli siete vicino e cercherete di capire con lui come rimediare.
PREVENIRE E’ MEGLIO CHE CURARE
La rabbia è un’emozione primaria che si manifesta dai primi
mesi di vita del bambino, con modalità che vanno dal pianto disperato dei
neonati, ai comportamenti oppositivi dei 2 anni, alle manifestazioni eclatanti
dei 4 anni alle risposte seccate e aggressive dei 6 anni, e così via…
Va da se, quindi, che non è possibile prevenire l’emozione
in sé, ma è possibile limitare nella frequenza e nell’intensità le sue
manifestazioni.
Come?
Anticipare al bambino quello che faremo e secondo quali
tempistiche e modalità;
Dargli delle alternative ai “no” che gli diciamo;
Organizzare tempi e spazi in modo da rispettare le promesse
che gli facciamo;
Non agire in emergenza! (La mattina prima di andare a scuola
è già un momento di fermento familiare: prepariamo cartella e vestiti la sera
prima!).
Qualche esempio:
“oggi andremo al
supermercato, non compreremo un giocattolo, ma se vuoi dopo passiamo dal
parco…”
“Domani potrebbe essere necessario mettere il giubbotto, so
che non ti piace metterlo, ma ti permetterà di giocare in giardino con gli
altri amici a scuola”
“non possiamo andare adesso al parco, ma sabato potremmo
organizzare una gita tutti insieme!”
“Abbiamo da fare delle faccende un po’ noiose, potresti
portare un libro con te, da leggere mentre aspetti”
ULTIMO PROMEMORIA!
Se vi accorgete che le crisi di rabbia sono incontrollabili,
mettono il bambino o gli altri in pericolo, sono frequenti e difficili da
placare, cercate un professionista con cui parlarne: è meglio agire
tempestivamente, evitando che il bambino si percepisca pericoloso, che venga
etichettato come “aggressivo” a scuola, che venga isolato dai pari… tutto ciò
potrebbe innescare un circolo vizioso di ulteriori e più potenti espressioni di
rabbia del piccolo e di tutta la famiglia, ed un percorso più lungo e
articolato di cura.
Ci sono 5 emozioni definite innate e universali. Si
definiscono universali perché sono riconosciute e riconoscibili in tutte le
popolazioni del globo terrestre e sono innate perché presenti nell’essere umano
già in fase prenatale.
Sono RABBIA, TRISTEZZA, GIOIA, PAURA E SORPRESA (declinata
nel disgusto o disprezzo, qualora la sorpresa risulti sgradevole).
Nelle prossime settimane impareremo a riconoscerle, comprenderle
e valorizzarle sul volto e nelle espressioni dei nostri bambini…
È importante prestare attenzione ad alcuni elementi che ci
porranno nella giusta prospettiva prima di iniziare ad approfondire le singole
emozioni:
Sappiamo osservare
i nostri bimbi?
È importante imparare ad osservarli nelle loro reazioni, nei
loro comportamenti, nel modo in cui giocano, nel modo in cui si rapportano ai
loro pari o ad altri adulti. L’osservazione è fondamentale per conoscerli e
comprenderli.
Sappiamo porci nei loro confronti in ascolto empatico?
Un ascolto empatico significa imparare ad ascoltare con
tutti i sensi, imparando e leggere tra le righe dei loro comportamenti e delle
loro parole. Significa comprendere il loro stato d’animo, imparare a guardare
la situazione dal loro punto di vista con le domande appropriate e il giusto
atteggiamento.
Insegneremo loro a dare
un nome alle loro emozioni. Attraverso giochi, disegni o letture impareremo
insieme a loro a distinguere la rabbia dalla tristezza, la sorpresa dalla
gioia. Attraverso il nostro esempio impareranno che si può parlare delle
emozioni, che si può essere arrabbiati, tristi o impauriti, che le emozioni si
possono esprimere e come farlo.
Aiutare i bambini a sviluppare la loro intelligenza emotiva
è un grande dono che i genitori possono dare, è un processo che inizia già dal
pancione della mamma e non si conclude fino all’età adulta. Le emozioni
cambieranno nel corso della loro crescita, cambierà il modo in cui le
esprimeranno, ma avranno sempre bisogno di parlarne e condividerle in una
relazione empatica, sana e amorevole.
Non so se avete mai raccontato ai vostri bambini del viaggio
di Dorothy nel Paese di Oz, lungo una strada di mattoni gialli, in compagnia di
uno spaventapasseri che cercava un cervello, un taglialegna di latta che
cercava un cuore e un leone che cercava coraggio…
Se vi siete mai chiesti cos’é un percorso psicoterapeutico per un bambino, potreste pensare proprio a questa storia.
Ci sono bambini che usano solo la loro parte razionale, proprio come l’uomo di latta della storia, sembrano
avere un’armatura rigida con cui camminano nel mondo. Per certi genitori può
sembrare difficile entrare in un vero contatto con il proprio figlio: con
questi bambini non basta un abbraccio per risolvere un capriccio, e da
adolescenti dibattono su tutto, portando i genitori quasi allo sfinimento. Qual
è il problema dell’uomo di latta nella storia? A volte si blocca, a volte non
riesce ad affrontare degli eventi particolari in cui servirebbe un po’ meno
rigidità, servirebbe un po’ di empatia e di emotività.
Ci sono bambini che sembrano pervasi dalle emozioni: sono tanto tristi o tanto
arrabbiati a volte tanto euforici… sembra che l’emozione che provano in quel
momento offuschi la loro mente e non gli permetta di percepire più nulla e
nessuno. Proprio come lo spaventapasseri
sono inconsolabili quando piangono, e sono incontrollabili quando si
arrabbiano. Può essere complicato ritrovare un equilibrio in certi momenti, con
questi bambini non basta spiegare cosa sta accadendo per ridimensionare la
risposta emotiva. Stanno provando quell’emozione al massimo dell’espressione
possibile, non riescono a modularla e a governarla. E in adolescenza le
emozioni sono ancora più potenti.
Altri bambini sembrano governati dalla paura che blocca ogni loro passo verso la leggerezza della loro età.
Proprio come il leone della storia,
appaiono goffi e impacciati. A volte i genitori non comprendono quanto la paura
sia irrazionale ma reale. Spronano i bambini a superare la paura senza passare
per il necessario passaggio della rassicurazione.
“I bambini imparano ciò che vivono”…
… se hanno sviluppato la parte più razionale è perché sono vissuti in un mondo in cui era necessario mostrarsi intelligenti, nascondere la parte emotiva che li avrebbe resi fragili e vulnerabili. Hanno imparato a non sentire perché era la miglior strategia di sopravvivenza possibile. Pian piano hanno pensato di non avere un cuore…
Se hanno trascurato la parte razionale è perché è stato chiaro
da subito che non era necessario pensare. C’era qualcun altro che pensava al
loro posto, che decideva cosa era meglio per loro. Ma era indispensabile
sentire, empatizzare, percepire le emozioni e i sentimenti degli altri prima
ancora che fossero visibili ai più. Pian piano hanno sentito di non avere il
cervello…
Se è stato insegnato loro che il mondo era un posto
pericoloso e che nessuno, nemmeno gli adulti, poteva far fronte a tale paura, o
se hanno vissuto nell’insicurezza, senza una rete di sicurezza che gli
permettesse di sperimentare, esplorare, vivere, probabilmente sono nel mondo
con quell’incertezza e quell’insicurezza che contraddistingue il leone codardo…
Cosa fa in questo caso uno psicoterapeuta?
Accompagna i bambini, proprio come Dorothy, in un viaggio,
lungo una strada di mattoni gialli, un percorso lungo il quale vengono
valorizzati quei gesti, quegli episodi che permettono al bambino di riscoprire
quelle qualità che già possiedono, ma che non sono state sempre permesse.
Dorothy accoglie la paura del leone, lo rassicura, e lo
sostiene permettendogli di superarla e di riscoprire il coraggio che già
possiede. L’uomo di latta possiede già la capacità di amare ed essere amato e
questo fa di lui un personaggio dal grande cuore. Così lo spaventapasseri può
liberarsi dall’etichetta che condiziona gran parte del suo sentire e può
fidarsi delle sue idee, scoprendo di possedere un cervello.
Questo è quello che accade durante una psicoterapia con un
bambino o con un adolescente… In questo percorso vengono coinvolti tutti gli
altri coprotagonisti, come la famiglia o la scuola, per abbandonare quel Mondo
di Oz, fatto di etichette, di rigidità, di poca intimità, per tornare davvero a
casa…
Non è un percorso libero da streghe cattive, papaveri
avvelenati e maghi cialtroni, ma insieme è possibile!