Gli adolescenti e i bambini sono stati i grandi dimenticati, la didattica a distanza è diventata rituale, la permanenza a casa senza incontrare altri ragazzi consuetudine, l’uso eccessivo dei computer la norma…
La maggior parte delle problematiche psicosociali e psicosomatiche degli adolescenti sono emerse durante quest’anno, le difficoltà legate all’organizzazione domestica, con uno o più figli a casa in DAD, l’adolescenza spesso vissuta a metà, senza quella parte fondamentale di socialità e spensieratezza… Sono tutti elementi che hanno pesato su questa generazione come mai prima.
Quindi che fare?
Per prima cosa, come sempre, parlate con loro…
Chiedete loro cosa pensano di quest’anno passato, come si sentono, come hanno vissuto la scuola e le amicizie… e ascoltate se vi raccontano… Con occhi orecchie e cuore aperti… Se non vi raccontano non mollate subito la presa, va bene così… A volte è più importante che sentano di essere visti, compresi e che sentano che i genitori si interessino a loro, più del racconto in sé.
Lasciate una porta aperta, quando e se vorranno parlarvi lo potranno fare.
Lasciate che i vostri figli vedano in voi l’empatia, l’accoglienza e il supporto che un genitore deve avere, quest’anno più degli altri: voi siete stati gli adulti presenti, fate in modo che sentano la vostra presenza. Riconoscete loro che hanno superato un anno difficilissimo, che voi alla loro età non avete dovuto vivere, e che sono stati bravi, perché hanno continuato ad essere adolescenti in un periodo in cui gli si chiedeva di essere dei robot chiusi in casa, perché non hanno perso la loro umanità, e perché probabilmente, loro si, ne sono usciti migliori….
Se anche accadesse solo questo, non sarebbe un anno sprecato…
Prima faccio una confessione: questo è stato il mio primo vero romanzo, e forse per questo, il mio preferito…
Le protagoniste Prisca, Elisa e Rosalba, dopo un po’ erano diventate mie intime amiche, le prime volte che ti batte il cuore per le prime cotte, le volte in cui ti batte forte il cuore per la rabbia, o quando batte veloce per la paura o lento per la tristezza…
Insomma quando hai nove o dieci anni, inizia a batterti il cuore per i motivi più disparati… Far sentire quel battito a qualcuno che ti capisce davvero, come un’amica, condividere le passioni e le lotte contro le ingiustizie, diventare paladine di chi sta passando un periodo difficile…
Le protagoniste sono bambine, un po’ ribelli e un po’ passionarie, paladine di un mondo più giusto e di un futuro più bello…
Le ragazze sono nel periodo di mezzo tra primaria e scuole medie, e Bianca Pitzorno riesce a descrivere quel tumultuoso e delicato passaggio come solo lei sa fare…
È un libro a cui e per cui batte il cuore, ti fa sentire grande… e, ad un certo punto pensi “capita così anche a me!!!”
Quest’anno scolastico per infanzia e primaria è stato l’anno più difficile.
Si molto più difficile dello scorso anno!
Lo scorso anno, il lockdown vero, più duro, ha permesso ai bambini di avere maggior tempo passato in casa con mamma e papà, di beneficiare di tempi più rilassati, senza la frenesia quotidiana di sempre. Certo sono mancati i nonni, gli amici, sono mancate le gite di gruppo, i cinema e i parchi affollati… ma, per qualche mese, dei benefici ci sono stati.
Molti genitori mi raccontano, durante l’incontro iniziale, che durante il lockdown sembrava che i bambini stessero molto meglio…
Poi è arrivata l’estate, e, nonostante sia stata un’estate molto diversa dalle altre, si è potuta respirare una normalità, anche se strana e “mascherata” …
Poi è ricominciata la scuola…
La scuola però era proprio tanto diversa!!!
Non so se vi siete resi conto di quanto, per un bambino della primaria, sia stato difficile ricominciare, riprendere la consuetudini, gli orari, ricominciare a star seduti per tanto tempo.
Le maestre e i compagni erano a portata di sguardo, ma non si poteva scorgere un sorriso, né avere un contatto di alcun tipo.
Non so se avete visto le educatrici della scuola dell’infanzia del vostro bambino con i suoi occhi: mascherina, camice e visiera mettevano una reale barriera tra loro e gli adulti.
La quotidianità, che nel primo rigido lockdown si era interrotta, adesso era tangibilmente modificata…
Lo scorso anno i bambini, spesso protetti dalle terribili notizie sulla pandemia, hanno vissuto una sorta di avventura, la scuola si faceva a casa, dal computer “come i grandi”, il pranzo lo preparava la mamma, e il soggiorno poteva essere messo a soqquadro, senza troppi richiami, anche le regole di sonno e sveglia erano meno rigide….
Certo dopo qualche mese erano stanchi e provati (sempre meno dei loro genitori!), ma l’estate prometteva bene per tutti…
Questo è stato l’anno scolastico della rassegnazione, è stato l’anno dell’interrogativo “Non finirà mai?”, “sarà così per sempre?”…
Poi, però, i bambini ci hanno stupito (lo fanno sempre)…
Si sono adattati, hanno ritrovato una loro normalità, una loro routine, un loro modo di affrontare la nuova scuola..
Adesso è finito un anno scolastico che mai avremmo previsto, difficile e sorprendente.
Dite loro che sono stati bravi, che sapete che quest’anno è stato molto diverso, forse più difficile, e che ora si meritano un riposo da supereroi…
Ci sono stati parecchi eroi in questo periodo, in pochi hanno pensato ai bambini, piccoli grandi supereroi che hanno lasciato un anno di spensieratezza tra il 2020 e il 2021, che sognano di diventare “dottori che fanno il vaccino”, oppure di “lavorare al computer come mamma e papà” e che conoscono tutte le regole igieniche e che sanno che le maestre non hanno potuto dare loro il bacio sulla bua senza mascherina, e, nonostante tutto ciò, non hanno fatto i capricci!
Ho studiato tantissimo per imparare a giocare con bambole, trenini, matite e colori!
Proprio così… ma cosa ho studiato e come gioco con i bambini?
La formazione dello psicoterapeuta infantile:
Innanzitutto ci tengo a precisare che lo psicoterapeuta infantile è uno psicologo che ha poi intrapreso una specializzazione specifica in psicoterapia infantile, oppure, come nel mio caso, in psicoterapia generale e poi ha frequentato un master ulteriore in psicoterapia infantile. Inoltre ha effettuato un tirocinio specifico nell’infanzia.
La psicoterapia infantile è molto diversa dalla psicoterapia per adulti, e, se è vero che uno psicoterapeuta infantile, che ha anche una formazione per l’età adulta, può occuparsi di un paziente adulto, riscoprendo il bambino che è dentro ognuno di noi e comprendendo come aiutarlo, non è vero il contrario!
Uno psicoterapeuta che non ha una formazione specifica per l’infanzia, né un’esperienza relativa, difficilmente avrà gli strumenti necessari per ascoltare quello che un bambino esprime attraverso il suo comportamento, il gioco e i suoi silenzi, e, ancor più difficilmente saprà sostenerlo e aiutarlo come merita.
Lo psicoterapeuta infantile è quindi uno psicologo che ha imparato a giocare, a disegnare, a manipolare il didò, a raccontare favole, e ha imparato ad ascoltare il bambino attraverso tutto questo.
Perciò la stanza dello psicoterapeuta infantile dovrà avere tutto questo:
Colori di vario tipo, fogli, casetta per le bambole, materiali manipolabili (come sabbia plastilina, creta…), animali, trenini e macchinine, libri, giochi simbolici, giochi da tavolo, uno specchio…
Tutto questo aiuterà il bambino a rilassarsi dopo un primo, sanissimo, timore iniziale; ma aiuterà il terapeuta a comprendere meglio il bambino attraverso la scelta di giochi, materiali ed espressività.
Detto ciò, inizia il nostro percorso insieme…
Il primo contatto:
Quando un genitore mi contatta per la prima volta è generalmente molto preoccupato, spesso spaventato, a volte arrabbiato o triste perché non capisce cosa sta accadendo al suo bambino.
Spesso sono le maestre a far notare il problema a i genitori, altre volte il bambino è difficile da gestire a casa, o mamma e papà si accorgono che c’è qualcosa che non va e vogliono aiutarlo.
È importante che i genitori si sentano accolti e compresi e, soprattutto, non colpevolizzati.
Spesso ci si sente soli quando un figlio mostra delle difficoltà, e ci si sente in colpa…
È importante che sappiate che lo psicoterapeuta infantile non ricerca colpevoli, né malattie…
Non ricerca cosa non va, ma cosa può andare meglio!
Il primo colloquio:
Ogni psicoterapeuta ha un suo modo di affrontare il percorso terapeutico, perciò quello di cui vi parlerò adesso è quello che accade con me…
Per me è importantissimo vedere entrambi i genitori prima di vedere il bambino. In questo primo incontro approfondiremo insieme come il problema è visto da entrambi i genitori, cosa ne pensano del possibile percorso che il bambino intraprenderà e l’anamnesi del bambino: gravidanza, parto, infanzia, scuole, modalità comportamentali e peculiarità familiari, particolari eventi che hanno contraddistinto la famiglia… Tutto è importante per comprendere al meglio il bambino.
Ma la cosa più importante di questo primo incontro per voi genitori è comprendere chi sono, decidere se darmi fiducia e sentirvi accolti e non più soli in questo momento.
Per il bambino è importantissimo quello che i genitori sentono e pensano: se sentirà che mi avete già conosciuta e che vi fidate di me, anche lui si affiderà e questo aiuterà tantissimo il percorso insieme…
Durante il primo colloquio parleremo anche di come preparare il bambino al nostro incontro, in modo specifico per lo specifico bambino.
Generalmente nell’incontro con i genitori chiederò cosa piace al bambino, se ama disegnare o giocare con le macchinine o con le bambole, in modo da proporglielo durante il nostro primo incontro…
Fino ai 6 anni potreste preparare il bambino spiegandogli che non sono un dottore come gli altri, non curo tosse o raffreddore, ma che mi occuperò di capire perché è un po’ arrabbiato o triste o non gli va di mangiare o qualsiasi altra cosa lo stia turbando al momento…
Potreste anticipargli che da me si gioca e si disegna, non gli farò punture e non gli darò medicine amare…
In età scolare potreste dire al bambino che sono una persona che lo aiuterà a capire cosa c’è che non va e che aiuterà lui e voi a stare meglio insieme…
Il primo incontro con il bambino:
Durante il primo incontro con il bambino sarà necessario rassicurare i suoi timori legittimi; insieme esploreremo l’ambiente, e scoprirà le “regole” del nostro percorso: è importante che sappia che quello che accade nella mia stanza sarà custodito da parte mia, e che se c’è qualcosa che dovrò dire a mamma e papà prima ne parlerò con lui o lei. Seconda regola è che nella mia stanza potrà usare e fare tutto quello che vuole, l’importante è che non si metta in pericolo e che a 5 minuti prima della fine insieme riordiniamo tutto.
Il gioco, il disegno, sono i modi in cui il bambino esprime e comunica le sue emozioni e i suoi bisogni, perciò è quello che faremo insieme…
Durante il primo colloquio potrebbe essere importante per il bambino che i genitori entrino in stanza insieme a lui… è giusto così, non sentitevi sotto esame… dobbiamo comprendere insieme cosa è meglio per tutti…
La stessa barca:
Un terapeuta che si occupa di bambini non prende in cura solo il bambino, ma si occupa di accogliere su una barca tutte le figure intorno a quel bambino: genitori, insegnanti, tate, nonni, fratelli e sorelle…
Il bambino passerà solo un’ora a settimana con il terapeuta: la vera “cura” avverrà solo se il contesto in cui è inserito saprà come accogliere al meglio i bisogni e le espressioni di quel bambino.
Perciò non esitate a telefonare al terapeuta che ha in cura il bambino per dubbi o problemi che si presentano in settimana; inoltre potrà essere importante incontrare le insegnanti per comprendere meglio come il bambino si relaziona in un altro contesto.
La restituzione:
Dopo qualche incontro con il bambino probabilmente incontrerò di nuovo voi genitori per definire insieme quale potrà essere il percorso da fare con il bambino, gli obiettivi ed eventuali iniziali miglioramenti in famiglia o a scuola.
In alcuni casi potrebbe essere necessario consultare altri professionisti, come il logopedista o lo psicomotricista o il neuropsichiatra infantile per avere tutti gli strumenti per aiutare il bambino.
Potrebbe accadere, specialmente se i bambini sono molto piccoli, o se il bambino non vuole venire da me, che io veda il bambino solo sporadicamente, e che invece incontri voi genitori con frequenza settimanale: in questo modo si dice che la terapia sul bambino è distale, cioè modificando e migliorando delle modalità genitoriali agirò “a distanza” anche sul comportamento del bambino…. È importante che abbiate ben presente che non si tratterà di una terapia personale per voi, ma di un miglioramento della genitorialità di cui beneficerete tutti!
È importante sottolineare che al timone di questa barca ci sarà il bambino!
Cosa voglio dire con questo?
Tutti rispetteremo i tempi del bambino… ci sono bambini che hanno bisogno di qualche incontro prima di pronunciare le prime parole, altri saranno presi dal contesto e solo dopo affronteranno il problema, altri non percepiscono quello che per voi è un problema come un suo problema, altri ancora sembreranno migliorare miracolosamente e sarà importante dare loro un tempo per stabilizzare il miglioramento e verificarlo nel tempo…
Le tempistiche di una psicoterapia infantile generalmente sono nell’ordine dei mesi, non degli anni, ma sarà la valutazione del singolo bambino a definire anche questo.
So che è dispendioso sia economicamente sia praticamente accompagnare un bambino in terapia, ma fidatevi e affidatevi, il momento opportuno per interrompere arriverà, e una buona chiusura di terapia con il bambino rafforzerà tutti i risultati raggiunti durante l’intero percorso, non abbiate fretta perciò!
Illustrazioni di AntonGionata Ferrari. Edito da Lapis
Non è facile per nessuno focalizzare cosa proviamo dentro e differenziarlo da ciò che esprimiamo all’esterno… nemmeno per gli adulti.
Si pensa che i bambini esprimano tutto ciò che sentono, “la bocca della verità” si dice… spesso è vero, ma già a due anni di età hanno ben chiaro cosa è concesso esprimere in quella famiglia e come esprimerlo: hanno già imparato un codice, quello tipico della cultura in cui sono nati e della famiglia che li ha in cura.
Questo non è un bene o un male, è così e basta…
Si impara molto presto che non riusciamo ad esprimere tutta la rabbia che abbiamo dentro, né la tristezza… a volte la gioia che sentiamo è talmente grande che è difficile esternarla appieno…
Per i bambini piccoli è ancora più difficile esprimere tutto ciò con le parole, perciò ce ne sono poche in questa lettura, ma i disegni esprimono molto, molto di più…
Vi ho parlato nel precedente articolo di quando è utile accompagnare un bambino in terapia in alcuni momenti familiari (Quando portare un bambino in psicoterapia?), questo libro può aiutarvi a comprendere meglio quello che sente.
È importante che il bambino sappia che, se le modalità per esprimere tutto quello che sentono variano in base al contesto, quello che sentiamo dentro può essere potente, inebriante, distruttivo o, a volte, terrorizzante… (ve ne ho parlato anche nella serie di articoli sulle emozioni: Le emozioni dei bambini).
Ogni pagina ha un protagonista diverso, perché è importante che i bambini non si identifichino con una o un’altra emozione…
È un libro che possono “leggere” i bambini, nel senso che possono raccontare quello che vedono nell’immagine, basterà solo che l’adulto legga con il tono adeguato “io Fuori” o “io Dentro”…
Fatevi raccontare da loro cosa vedono, se anche a loro è successo, come si sentono dentro quando gli date il bacio della buonanotte?
Perciò… se quando la mamma mi dà un bacino fuori sono felice ed emozionato… dentro… beh dentro sono leggero volo con gli uccellini e tutto intorno a me è rosa e color pastello…
Ma, quando mi sgridano… fuori c’è solo una lacrima, ma dentro mi sento tutto a pezzettini, come rotto…
Quando ho paura… io fuori sono immobile, non riesco a muovere un muscolo, tremo solo un pochino… ma perché io dentro mi sento piccolo piccolo con un drago enooormeeee che mi ta per mangiare….
Ma quando le persone intorno a me sono felici… beh allora io fuori sono felice con loro, ma dentro… sono sulle montagne russe, sento quel brividino nella pancia, ho quasi le vertigini, tutto è colorato e urlo di gioia!!!
Questo disegno l’ha fatto una mia piccola paziente per rispondere alla mia domanda “come mai ti hanno portato qui, mamma e papà?”
Era esattamente così che si sentiva: un po’ grigia, sotto una nuvoletta antipatica che faceva piovere pensieri grigi, all’interno di un’altra nuvoletta rossa-rabbia…
Pensiamo che l’infanzia è il periodo più spensierato della vita, che i bambini non possono avere pensieri inquietanti, o che se li hanno sono “cose da bambini”…
A volte è così: è solo un brutto sogno…
Ma a volte le nuvole diventano sempre più grandi, con il passare del tempo, e la pioggia è sempre più fitta, e il bambino si costruisce altre nuvole rosse di rabbia o nere di paura o grigie di tristezza.
Un bambino in questa situazione non è un bambino felice…
Quindi la prima risposta alla domanda del titolo è: un bimbo va portato in terapia quando non sembra provare gioia!
Premessa numero 1: la maggior parte dei bambini non ha bisogno di un percorso di psicoterapia…
Premessa numero 2: portare un bambino in terapia non vuol dire che siete dei cattivi genitori, anzi… vuol dire che siete genitori attenti e che ascoltano le emozioni dei loro bambini…
Nelle prossime settimane affronterò un po’ di interrogativi circa la psicoterapia infantile, un mondo sconosciuto a molti, e perciò pieno di miti e leggende, spesso false…
Oggi iniziamo con il capire quando e perché contattare uno psicoterapeuta infantile…
Avete ragione nel dire che l’infanzia DEVE essere spensierata e felice, ma cosa vuol dire nella pratica e nel quotidiano?
Un bimbo che piange non è felice?
Ovviamente no!
Se un bimbo ha un brutto pensiero, ha litigato con il suo compagno di scuola, ha detto una bugia, ha fatto male alla sorellina, ha fatto un brutto sogno… è un bambino SANO! Soprattutto è UN BAMBINO…
Un bambino può essere rassicurato da mamma e papà, e può, anzi deve credere, che Super Mamma e Super Papà lo proteggeranno da tutto e tutti…
Un bambino deve sapere che può essere arrabbiato, senza sperimentare che la sua rabbia sia distruttiva per sé o per gli altri…
Un bambino sa che quando è triste può correre tra le braccia di mamma e papà e sarà consolato…
Man mano che cresce, un bambino troverà altri adulti che lo proteggeranno, ascolteranno la sua rabbia e lo consoleranno: la maestra, la nonna, il nonno, una zia, un fratello maggiore e, più avanti con l’età, un amico…
A volte tutto questo non c’è…
A volte la rabbia di un bambino è talmente tanta che fa male ad altri bambini, o alle maestre, ma, più di tutto, fa male a sé stesso… potrebbe vedere negli occhi degli altri paura nei suoi confronti, e sentirsi terrorizzato da se stesso, e reagire con altra rabbia per difendersi…
A volte la tristezza di un bambino non gli permette di affrontare il mondo in cui vive, e porta nel suo mondo grigio tutta la famiglia…
A volte la paura di un bambino non gli permette di fare le esperienze sane per la sua età, ci esplorare e conoscere il mondo, e nulla e nessuno riesce a rassicurarlo…
Questo ci porta ad un’altra risposta alla mia domanda:
un bimbo va portato in terapia quando rabbia, paura o tristezza, invadono molti o tutti gli altri campi della sua vita:
quando non riesce ad andare a scuola perché prova paura e ansia, o non riesce a giocare con altri bambini a causa della sua rabbia, o non riesce a giocare, disegnare o creare a causa della sua tristezza…
Ma perché far iniziare un percorso terapeutico ad un bambino?
La prima cosa che ci tengo a dirvi è che voi genitori siete i maggiori esperti di vostro figlio, voi l’avete conosciuto da prima che nascesse, da quando ha mosso i primi passi, dal primo giorno di nido, durante le vacanze e durante la notte e la cena… Istintivamente sapete quando c’è qualcosa che non va, dovete fidarvi di quell’istinto… A volte però l’istino viene offuscato dalla vita frenetica e dai nostri problemi personali…
Perciò…
Quando notate un cambiamento nel vostro bambino, cercate di osservarlo, di parlare con lui, di giocare con lui e stargli accanto, scoprirete se c’è qualcosa che non va…
A volte siamo presi nella nostra vita adulta e non prestiamo la giusta attenzione ai bambini, perciò, se vi accorgete che vi sta accadendo questo, o se qualcuno (maestra o la tata o qualcun altro che conosce il bambino in altri contesti) vi fa notare cambiamenti improvvisi e duraturi del piccolo, fermatevi un attimo e prendetevi il giusto tempo per stare accanto al vostro bambino…
Se voi genitori state attraversando un cambiamento, un divorzio, un trasloco, un lutto, ma anche una nuova relazione, o un nuovo lavoro, sappiate che i bambini ci osservano e assorbono ogni nostra emozione, perciò cercate di capire se ne sta risentendo…
Capita che, a volte, per vari motivi, il bambino non manifesti il comportamento problematico in tutti i contesti, perciò non rimandate al mittente le perplessità delle maestre senza porvi le dovute domande, oppure non vi meravigliate se a scuola non mostra ciò che vi preoccupa a casa…
Osservate se ha difficoltà nel sonno o nella cena, se ha mostrato aggressività frequente e verso chi, se è diventato difficile portarlo a scuola a causa di mal di pancia o mal di testa sempre più frequenti, se è spesso triste e inconsolabile…
I bambini manifestano con il corpo quello che gli adulti esprimono a parole, perciò il loro malessere si manifesterà grazie al corpo, all’inappetenza o all’insonnia… ascoltatelo!
Se un bambino poi chiede esplicitamente di andare da un dottore perché ha brutti pensieri, avete il dovere di rispettare la sua richiesta e correre a telefonare ad uno psicoterapeuta infantile!
Qualche giorno fa un ragazzo, poco più che quattordicenne, mi ha detto di aver voglia di provare cose nuove…
Complice l’inizio della primavera, un bel po’ di ormoni in circolo e un ritrovato senso di benessere dopo un bel pezzo di terapia, aveva di nuovo voglia di fare quello che sapeva fare meglio prima di un po’ di avvenimenti funesti: l’adolescente!
Naturalmente questo mi ha fatto sentire grata e felice per il suo percorso, ma poi ho pensato, mentre provava ad immaginare a voce alta quello che avrebbe provato volentieri, che c’era ben poco di fattibile, causa restrizioni COVID…
Se qualcuno avesse detto alla me quattordicenne di uscire il meno possibile, di evitare baci e abbracci con le mie amiche di allora, di scambiarsi i vestiti, di assaggiare per la prima volta una birra dalla bottiglia del tipo figo del gruppo… se mi avessero detto che non c’erano bar, negozi, nemmeno una gelateria aperti… se mi avessero detto che avrei studiato da casa, insieme a mia sorella più piccola nell’altra stanza e senza incontrare gli altri davanti scuola o fermarsi all’uscita per un po’ (l’unica cosa meravigliosa del liceo)…
Ecco probabilmente sarei stata talmente arrabbiata da rompere svariati oggetti e porte in casa, avrei messo la musica così ad alto volume che si sarebbero lamentati i vicini tutti e i vicini dei vicini…
Ma con i se e con i ma non si dovrebbe mai ragionare…
Di fatto tutto ciò è successo, e sta continuando ad accadere… i ragazzi sono in casa, oppure escono con le mille limitazioni del momento….
Sono bravi, più di quanto immaginiamo noi adulti… Quando ci indigniamo per il gruppetto di ragazzi nel parco sotto casa senza mascherina (l’ho fatto anch’io, ammetto) dovremmo pensare, nei cinque secondi successivi, che alla stessa età abbiamo forse provato a fumare, o siamo saliti su qualche motorino di troppo, o abbiamo attraversato la strada con il walkman (si esisteva questo strano oggetto!) a tutto volume, o chissà in che altro modo ci siamo messi in pericolo…
Certo, compito dei genitori è ricordare sempre di tenere su la mascherina, di rispettare regole e divieti, e di limitare le uscite allo stretto necessario… e di riprenderli se ci accorgiamo che non lo fanno!
MA è altrettanto compito dei genitori, e di tutti gli adulti di una comunità, stupirsi e, perché no, indignarsi per quei ragazzi che sono contenti di stare chiusi in casa, che sono rassegnati alla DAD, che, anzi sono contenti e rassicurati dal non andare a scuola in presenza… PURTROPPO SONO MOLTI DI PIÙ…
Non sto negando l’esistenza del virus, né tanto meno dire che le regole sono ingiuste o esagerate, anzi… è un nemico orribile che si combatte con queste regole…
Ma nella sua ingiustizia ci dovrebbe indurre a riflettere, a ripensare a cosa c’è stato di sbagliato nella scuola, nel mondo adulto, nel modo con cui tutti noi guardiamo gli adolescenti…
Forse la scuola si è piano piano sbilanciata verso il lato prestazionale, lasciando perdere l’attenzione alle relazioni e al rispetto dei tempi di ciascuno studente. Questo ha generato ansia per i voti e i compiti e le interrogazioni, dimenticando la parte umana dell’educazione.
Forse in casa abbiamo dato poco spazio al contatto emotivo, anche se adesso ci lamentiamo solo dell’impossibilità del contatto fisico…
A quanto pare le condizioni per la scuola in presenza non ci sono ancora e l’unico modo di fare scuola è la DAD, perciò i ragazzi devono attenersi a questa modalità…
Ma chiediamo loro come la stanno vivendo, e, se dovessero dirvi che quasi va meglio così, abbiamo il dovere di porci delle domande, di stimolare la loro vitalità naturale, di non liberarli dalla trappola della rassegnazione…
Accettare non è rassegnarsi!
Quando accettiamo vuol dire che abbiamo esercitato un nostro potere di scelta, che abbiamo compreso che rinunciare a qualcosa adesso è necessario per una motivazione più alta e che riguarda la comunità intera.
Quando siamo rassegnati siamo passivi davanti una scelta che qualcuno ha fatto per noi e non riusciamo a vederne il senso generale.
La differenza può sembrare sottile, ma le due condizioni generano sentimenti ben diversi: il primo ci fa sperimentare potenti e autonomi e con un senso di appartenenza, il secondo ci fa soccombere sotto scelte altrui senza nemmeno comprenderle a fondo…
In adolescenza il bisogno di appartenenza è fondamentale, che si sentano parte di una comunità e, quindi, delle sue regole, è bellissimo.
Che all’interno di questa comunità sentano di poter formare un gruppo attivo di ragazzi che pretenda condizioni scolastiche più coerenti e vivibili (mi vien da dire, anche aldilà del covid…), che chieda meno profitto e più attenzione all’umanità, è meraviglioso…
La prossima volta che vedete dei ragazzi con la mascherina abbassata, in assembramento, stateci a debita distanza, sgridateli se ne siete i genitori, ma, sotto la mascherina accennate un sorriso per quella vita che scalpita ancora per potersi guardare a volto scoperto, tenersi per mano e dare il primo bacio…
L’autrice ed illustratrice tedesca Britta Teckentrup racconta con grande sensibilità la scomparsa di qualcuno che ci è caro.
C’è tristezza in questo libro, perché bisogna educare i bambini ad accogliere la tristezza senza esserne spaventati. La tristezza però si trasforma presto in un richiamo per la comunità di vicinanza e condivisione, e, attraverso questo sostegno reciproco tornano i sorrisi pensando a chi non c’è più.
La chiave di lettura è tutta nella prima frase. C’è un tempo per tutti, l’importante è farsi sorprendere felici, l’importante è il saluto, quell’”ultimo sguardo al suo amato bosco”.
È questo che dobbiamo spiegare ai bambini, non dobbiamo aver paura della morte, l’importante è farci trovare vivi quando arriva. L’importante è sentire lo sguardo di saluto della persona che se ne è andata dentro di noi.
Il libro mostra anche come trasformare l’assenza in presenza attraverso il ricordo. Raccontando come l’albero dei ricordi possa far sentire ancora la volpe presente e viva nella memoria di tutto il bosco. Ma prima ancora che con le parole lo fa con le immagini e i colori: quell’arancione vivo del manto della volpe che muore diventa l’arancione delle foglie del maestoso albero che diventa sempre più ricco man mano che i ricordi vengono raccontati da chi alla volpe voleva bene davvero.
Il ricordo, così come l’albero del bosco, è dove tornare per sentire ancora la presenza di chi non c’è più, sentirne il calore e la vicinanza.
Non so se vi è mai capitato di assistere ad una conversazione simile, a me ha fatto sorridere, ma anche molto riflettere.
La parola morte e il verbo morire sono persino difficili da coniugare per un bambino di questa età; le informazioni che riceve sono diversissime, e arrivano da diverse fonti (genitori, scuola, amici, tv…) ma sono sempre poco chiare, poco definite… e alla fine i piccoli deducono le loro personali idee inserendole in uno “spremiinformazioni” personalissimo.
Parliamoci chiaro, non è un bell’argomento da affrontare con i piccoli: è doloroso, imbarazzante, difficile… spesso si ritiene inutile far entrare l’argomento morte nei discorsi dei bambini. Si pensa “forse non se ne ricorderanno nemmeno”… ma non è così!
I bambini sono attentissimi agli stati d’animo dei più grandi, soprattutto se i grandi sono mamma e papà, perciò se vi vedranno tristi si chiederanno il motivo, e se nessuno spiegherà loro nulla si daranno le loro fantasiose spiegazioni…
Non coinvolgere i bambini, pensando di proteggerli, può, al contrario, far sentire il bambino escluso e solo nel suo dolore, senza poterlo condividere con qualcuno.
Perciò, come sempre, la migliore soluzione è parlare con loro ed ascoltare…
Detto ciò… come parlare con loro??
Le esperienze che possono portare il bambino a farsi domande sulla morte sono varie: sarà molto diverso se è venuto a mancare il cagnolino di casa, un lontano parente, un nonno, o addirittura un genitore o un fratello o sorella.
Sarà un percorso diversissimo se c’è stata una lunga malattia o se è stato un evento improvviso…
C’è una grande differenza anche a seconda dell’età del bambino…
Insomma le variabili sono moltissime e non riuscirò ad analizzarle tutte in questo articolo, ma non voglio darvi facili istruzioni da eseguire alla lettera… piuttosto vorrei darvi degli elementi per farvi riflettere e perché troviate il vostro personale modo per stare accanto ai vostri bambini.
Prima di iniziare a pensare a cosa dire ai bambini, vi chiedo: come state? Come vi ponete di fronte all’argomento morte? Ne siete spaventati? Siete addolorati? È un argomento che vi imbarazza? Chiarite questi ed altri interrogativi con voi stessi prima di parlare con i piccoli, perché saranno le vostre emozioni che veicoleranno il messaggio ai più piccoli, perciò occorre che ne siate consapevoli.
L’età dei bambini conta molto e le differenze sono sostanziali:
Se fino ai 3 anni non sarà pienamente consapevole della differenza tra vivo e morto, sarà però molto turbato dal vostro stato emotivo, perciò avrà bisogno di meno spiegazioni, ma di vicinanza fisica e rassicurazione emotiva; dai 3 ai 5 anni potrebbero pensare che dalla morte si torni indietro, magari con un bacio come Biancaneve, perciò avranno bisogno di un segno tangibile di passaggio, di sapere dov’è adesso la persona che non vedono più tutti i giorni; i bimbi della scuola primaria hanno già un’idea molto vicina alla realtà della morte, a quest’età hanno bisogno di informazioni precise e di presenza, ma hanno anche bisogno di esprimere i loro interrogativi e le loro emozioni, potrebbero infatti voler sembrare più grandi della loro età, e nascondere le emozioni…
L’importanza del saluto:
Se c’è stato il tempo, anche molto doloroso, di una lunga malattia è probabile che ci sia stato un saluto importante e significativo, che sarà importante ricordare ai bambini quando si comunicherà la notizia.
Se questa possibilità non c’è stata, possiamo comunque permettere ai bambini di salutare chi non c’è più con diverse modalità: per i bambini più piccoli potreste scrivere una lettera da parte del defunto e leggergliela, può essere importante un amuleto, un giocattolo o un simbolo che porti un saluto; i bimbi più grandi potrebbero, al contrario, scrivere una lettera o fare un disegno di saluto per chi non c’è più.
Congedarsi è importante per adulti e bambini, è il primo passo per elaborare l’assenza.
Occorre che i piccoli sostituiscano l’immagine reale e fisica con un’immagine interna, un ricordo appunto.
Rispettare i tempi:
Ognuno ha bisogno dei suoi personalissimi tempi per comprendere, accettare ed elaborare il lutto, e anche i bambini hanno i loro tempi… Rispettateli!
Potrebbe essere utile e bello per tutti costruire o piantare un personalissimo “albero dei ricordi”, o costruire una scatola dei ricordi… qualsiasi cosa che possa permettere al bambino di tenere in vita la persona che non c’è più nel ricordo e nel cuore…
Bisogno di appartenenza:
quando un nonno o una nonna se ne vanno, o, peggio, quando è un genitore che viene a mancare, è importante che un senso di comunità pervada tutta la famiglia; è importante che tutti siano sostenuti e si sostengano a vicenda. Il bambino potrebbe aver perso le coordinate, è importante che senta di avere una comunità che è in grado di prendersi cura di lui, anche quando il genitore rimasto vedovo o orfano è troppo triste per farlo.
Bisogno di sicurezza:
I bambini potrebbero pensare che quello che è successo al nonno o al genitore che ha perso possa capitare anche a lui, o ad altri componenti della famiglia. È necessario che siano rassicurati su questo, e prima ancora, è necessario che venga esplicitata questa loro paura, che magari conservano segretamente. Perciò chiedete cosa pensano di quello che è accaduto, se pensano che possa accadere anche ai bambini, poi rassicurateli.
Comprendere cosa sta accadendo dentro di loro:
Dentro di loro c’è un turbinio di emozioni e pensieri… hanno bisogno che qualcuno legga queste emozioni al posto loro. Hanno bisogno di avere il permesso di essere arrabbiati con chi se n’è andato, di essere tristi, preoccupati… ma anche il permesso di stare con i loro amici se ne hanno voglia, senza sentirsi in colpa. Per fare questo l’unico modo è parlare con loro e condividere quello che anche voi state provando, se anche voi siete tristi o arrabbiati, ad esempio… sarà più facile per loro comprendere quello che sta accadendo dentro di loro.
I bambini parlano in tanti modi, con il corpo, il disegno, il gioco… prestate loro attenzione, osservate e chiedete a loro cosa vogliono esprimere.
Racconti e riti di passaggio:
Anticamente, dopo la dipartita di qualcuno, i vivi si riunivano per raccontare aneddoti ed episodi belli, brutti, divertenti o tristi del defunto. Fate partecipare anche i piccoli, è bello per tutti raccontare ed ascoltare storie, è un modo per salutare chi se ne va e per tenerlo nel cuore.
La partecipazione ai riti di passaggio è abbastanza controversa… una regola generale può essere permettere ai bambini di partecipare, affidandoli magari ad una persona meno coinvolta nel ltto, che sappia sostenerli e portarli fuori dalla chiesa, ad esempio, al momento opportuno, e che sappia spiegare cosa sta accadendo, qualora i genitori siano troppo presi dalla cerimonia.
Chiedete aiuto!!
Se siete soli, o non vi sentite in grado di sostenere i vostri bambini, è fondamentale che siate sostenuti voi in prima persona per sostenere il bambino! L’elaborazione del lutto in età infantile passa attraverso l’elaborazione del lutto dei genitori, perciò è indispensabile che vi prendiate cura di voi stessi e del vostro dolore per potervi prendere cura dei vostri bimbi.
Osservate:
Se il bambino ha reazioni mai avute prima, di rabbia o regressivi, anche dopo alcuni mesi dall’evento; se ha problemi nel sonno o nell’alimentazione; o se, al contrario, è distratto, assente, senza esprimere nulla circa la perdita… Rivolgetevi ad uno specialista, prima accogliete le difficoltà del bambino prima elaborerà il suo lutto.
Come questi tratti connotativi dell’adolescenza interagiscono con un evento così sconvolgente come la malattia di un genitore?
Come possiamo fare in modo che quello che sta accadendo nella vostra famiglia non modifichi in modo irreparabile il fisiologico percorso di questa delicata fase di vita?
Come sempre cercate prima di tutto di comprendere cosa vi sta accadendo, di metabolizzare la notizia e di capire quale sarà il possibile decorso della malattia: per parlare e rassicurare vostro figlio bisogna aver superato il primo shock della notizia.
Ora che sapete cosa vi capiterà e quali sono le possibili prognosi o l’eventuale decorso potete affrontare il vostro ragazzo.
Prima regola: chiarezza.
Le mezze frasi, le parole non dette, le “generiche” visite dal medico fanno intendere che c’è qualcosa che non va, ma non esplicitano cosa non va! E, come spesso accade, il mondo immaginato è più spaventoso del reale.
Perciò prendete vostro figlio da parte e con calma e fermezza spiegategli cosa vi sta accadendo, spiegate come avete deciso di muovervi in accordo con i medici che vi stanno seguendo, cosa accadrà nel breve periodo, come e se proseguirete il lavoro, e, soprattutto, cosa cambierà nella vita familiare.
Sono in grado di comprendere tutto ciò che spiegherete loro…sapervi in buone mani e con un’idea chiara del percorso che affronterete li rassicurerà.
Seconda regola: sincerità e condivisione.
Siate sinceri, dite loro che anche per voi è stata una notizia difficile, che avete avuto paura, ma che avete deciso di affidarvi a medici e strutture che sapranno aiutarvi al meglio.
Condividete con loro le emozioni contrastanti che sentite, probabilmente le stanno sentendo anche loro mentre gli parlate… Impareranno che si può parlare di emozioni, che è lecito aver paura o essere arrabbiati.
Gli adolescenti sono meno propensi dei più piccoli a raccontare di aver paura che potreste non superare la malattia, perciò parlatene voi, chiedete…
Terza regola: lasciate che vivano la loro adolescenza.
Adolescenza vuol dire liti con i genitori, spesso anche molto forti, vuol dire cercare in tutti i modi di volar via dal nido, vuol dire intaccare in ogni modo possibile il ruolo genitoriale…
Può capitare che un genitore con una malattia renda tutto un po’ ovattato: potrebbero avere sensi di colpa dopo una lite accesa, oppure uscire di casa il meno possibile per paura di perdere momenti preziosi, oppure diventare iperesponsabili, occupandosi della casa o dei fratelli minori più di quanto si dovrebbe fare alla loro età…
Non lasciate che questo accada… dite loro in modo chiaro e fermo che va bene discutere per un’ora in più sul coprifuoco, che va bene passare una notte a casa della migliore amica, che non devono sostituirsi a voi in casa, ma solo fare la loro parte…
Il messaggio che deve passare è che la malattia ha intaccato le vostre energie fisiche, ma non la vostra potenza genitoriale!
Quarta regola: restate genitori.
Ogni tanto durante la giornata guardatevi allo specchio: questa è l’immagine che i vostri figli hanno davanti quando vi guardano.
Perciò curate sempre il vostro aspetto, anche durante i periodi più bui: comunicherete ai vostri ragazzi che sono molto importanti per voi e che volete apparire al meglio per loro.
Non siate “più buoni” perché “stanno già affrontando un periodo complicato…”: rischiate solo di metterli nel ruolo di vittime; hanno bisogno di scontrarsi con voi, di costruire la propria autonomia, di essere contenuti, e questo passa anche per le regole e i richiami che voi darete loro.
Riposate quando ne sentite il bisogno, non sforzatevi di restare superattivi per stare vicino a loro: gli darete un grande insegnamento, è importante prendersi cura di se stessi, è importante ascoltare il proprio corpo e rispettarne i bisogni…
Quinta regola: osservate e ascoltate.
Cercate quello che è nascosto sotto la superficie! Potrebbero provare rabbia, per quello che sta capitando a voi, o perché sentono di essere diversi dai loro coetanei, oppure perché sono combattuti tra lo starvi accanto il più possibile e l’esplorare il mondo in autonomia; potrebbero provare tristezza perché non vedono più il genitore che eravate prima della malattia, oppure potrebbero provare paura perché non sanno cosa vi accadrà…
Ma… potrebbero nascondere tutte queste emozioni…
Perciò potrebbero apparire freddi, distaccati, senza emozioni: non fatevi ingannare, le hanno solo nascoste… perciò il vostro compito è farle emergere per poterne parlare insieme.
Sesta regola: date importanza al corpo.
Per quanto riguarda il corpo potrei dire che state affrontando una fase simile: una trasformazione… L’adolescente si trova in un corpo in trasformazione che non sempre riconosce come proprio e che spesso non gli piace. Il genitore ammalato si trova in un corpo che ha subito un danno e che sta cercando di trasformare grazie alle cure e che non sempre gli piace…
Parlate del corpo, di come è strano sentirsi in un corpo che non risponde sempre a quello che gli chiediamo. Rassicurateli sulla malattia, non verrà il cancro anche a loro! Ma devono imparare a prendersene cura…
settima regola: siete una famiglia!
Non siete soli in questo percorso: il partner può essere fondamentale per fare da ponte tra l’affrontare la malattia e il mondo com’era prima della malattia; i nonni, gli zii, gli amici… tutti possono esservi d’aiuto, per sostenere voi, per parlare con i ragazzi (con un altro adulto può essere più semplice dire che si è arrabbiati perché non siete andati ad assistere alla loro ultima partita di calcio a causa della malattia).
Anche i familiari o gli amici meno empatici potrebbero essere felici di aiutarvi nell’alleggerirvi di qualche incombensa e quindi di non dare ulteriori impegni all’adolescente.
Ottava regola (la più importante!): Fatevi sostenere!
In quasi tutte le strutture che si occupano di malati oncologici esiste una figura per il sostegno psicologico per il malato e per i familiari, chiedete un incontro!
Le professoresse dovrebbero essere informate, per comprendere meglio eventuali cambiamenti dei ragazzi e comunicarveli tempestivamente.
Uno psicoterapeuta potrebbe aiutare i ragazzi ad esprimere le loro emozioni, a distinguerle e ad affrontarle, senza sensi di colpa o comportamenti disfunzionali.
Per ultimo: Grazie e scusa.
Imparate a chiedere grazie e scusa e lo insegnerete ai vostri figli.
La malattia insegna che non siamo eterni e che la nostra vita può subire degli scossoni non indifferenti, facciamoci trovare in pari con i grazie e con le scuse, permettiamo ai ragazzi a fare altrettanto.